sabato 18 dicembre 2010

L'anello di fumo

(Liberamente ispirato alle storie del Commissario Montalbano di Andrea Camilleri)

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Palermo, 18 luglio 1992

Quella matina il giudice Paolo Borsellino aveva rapruto l’occhi con il pinsero che sarebbe stata jornata di tambasiate mentali, che il sò ciriveddro gli avrebbe fatto compagnia tutto il jorno con pinseri nìvuri, di morti. E quindi il malumore lo avrebbe maceriato dintra, come gli capitava spesso dopo l’ammazzatina di Giovanni.

Borsellino era nel sò ufficio già da un’orata bona.
- Ah, dottori dottori!
- Che c’è Catenella…
- C’è un signori senza nomi che voli parlare con vossia.
- E fallo trasire.

Si prisintò un cinquantino con l’occhi spridati e l’aria nirbusa, il giudice lo fici assittare.
- Buongiorno, mi dica.
- Voglio rimanere anonimo.
- E rimanga anonimo.

L’uomo prese a parlare facenno la facci di un picciliddro che si sta mittendo a chiangiri.
- Dottore Borsellino, la uccideranno!
- Chi?
- Non posso dirle di più. Sono troppo potenti, la uccideranno presto.
- Che posso fare?
- Smettere. Smettere immediatamente.

Pure se aviva fattu ‘na colazione ricca, a quest’ora, di solito, a Borsellino ci smorcava un pitittu lupigno che si sarebbe mangiato macari un cinghiale. Ma stavolta no, anzi. Lo stomaco gli si era fatto nico nico come quello di un acidduzzu. Non si era manco addunato del cinquantino che aviva salutato ed era uscito dal sò ufficio. Aviva tirato la testa narrè appuiandola allo schienale, si era addrumato ‘na sigaretta ed era rimasto accussì a fissare il soffitto. E a pinsari a chi l’avrebbe ammazzato. E i pinseri erano sempre li stessi, oramà da cchiù di ‘na mesata: i corleonesi incazzati, la classe politica del paese che sta cambiando, quel Mangano testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord d’Italia, l’incontro con il Ministro dove c’era pure quello del Sisde (che minchia c’entrano i servizi segreti?). E Borsellino pinsava e scriveva sull’agenda, quella rossa. Poi li venni in mente ‘na cosa.
Come si facevano gli anelli con il fumo di sigaretta? Non si ricordava mica. Allora fici ‘na prova e mise la vucca a culu di gaddrina, ma nenti. Provò di nuovo con la vucca cchiù larga e niscì fora un anello di fumo perfetto come non si vidiva da anni. In quel priciso istante Borsellino era felice. Ne fece altri di anelli, sempre cchiù perfetti. E mentre taliava gli anelli che si spezzavano quasi subito, si fece pirsuaso di avere capito macari il messaggio che gli era arrivato per mezzo del cinquantino: “Sono troppo potenti, la uccideranno. Smettere. Smettere immediatamente.”

Le sigarette! Minchia, è vero, devo smettere di fumare! – e si fece ‘na mezza risata, prima d’agliuttire amaro. Astutò subito quella che teneva tra le dita, svacantò il posacenere e rimase tanticchia accussì a pinsare a questa stramma e improvvisa presa di coscienza.

Borsellino si susì, pigliò la stecca di sigarette che teneva ammucciata nell’armadietto e chiamò a Catenella.
- Eccomi dottori!
- Tieni Catenè, portale a tuo cognato.
- Ah dottori dottori, lei è troppo di animo bono, è accussì gentile che mi fece commuoviri. Io non so come…
- Catenè, vai pure.

Borsellino si sentiva libero e in più gli era smorcato un gran pititto. Aviva smesso di fumare che era poche ore e già sintiva che gli era tornato arrè l’olfatto. Si arricordava macari gli odori della sua infanzia. E gli venne gana di telefonare a sò madre.
- Mamma sto bene, davvero. Paura? No, nessuna paura. Hai presente l’anello di fumo che tu stai lì a taliarlo e si spezza subito? Ecco. Mamma, vedi che domani ti vengo a trovare.



Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore solo una volta. (Paolo Borsellino)


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